Le Coordinate Didattico-Pedagogiche

Nella seconda metà degli anni ’80 ci si è accorti ovunque che i sistemi scolastici non erano in grado di rispondere ai nuovi bisogni e domande sociali, culturali e produttivi e ciò sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo, in quanto l’esplosione del “pianeta conoscenza” ha portato alla frantumazione della concezione monolitica del sapere. Sulle ceneri della tradizionale divisione del sapere scolastico in discipline autonome, storicamente e socialmente definite, sono in via di definizione dei Saperi Trasversali, che attraversano tutti i territori conoscitivi.
Il sapere moderno non è una codifica statica, ma è in continua trasformazione, è operativo e funzionale alle mansioni. Il sapere moderno assume capacità che un tempo erano codificate come metodologiche:

• Saper lavorare in equipe;
• Saper accedere alle fonti del sapere;
• Saper operare nella risoluzione dei problemi;
• Saper progettare;
• Saper organizzare e auto organizzare.

In seguito alle mutate condizioni la scuola è costretta a rimettersi in discussione e a riorganizzarsi in modo più funzionale ad un contesto che non richiede più una trasmissione di saperi, ma che deve mirare all’insegnamento dell’Imparare ad Imparare.

L’Intelligenza

Moderne ricerche ritengono che il patrimonio genetico non è tanto determinante quanto l’ambiente nello sviluppare le qualità cerebrali. Addirittura un ambiente carente di stimoli può persino ridurre la crescita del cervello, sia diminuendo le dimensioni che riducendo il numero di neuroni. Per contro un effetto ottimale si ottiene in un ambiente stimolante, ancor più soddisfacente se si osservano i dettami di una sana alimentazione e si pratica dell’esercizio fisico.
Purtroppo, pur così ottenendo le condizioni fisiologiche ideali, l’intelligenza e l’apprendimento non ne sono conseguenza automatica.
Globalmente può definirsi intelligenza la capacità di risolvere problemi quotidiani od eccezionali ovvero di assumere un atteggiamento idoneo di fronte ad essi, mediante la comprensione dei rapporti coesistenti tra gli elementi della situazione in esame. Tuttavia è estremamente difficile definire compiutamente le caratteristiche generali del cervello poiché esse si manifestano in varie forme, specializzandosi in operazioni conformi agli interessi ed attitudini della persona che la possiede.
L’esistenza di diversi fattori mette quindi in discussione la concezione dell’intelligenza come facoltà unitaria. Howard Gardner, professore di psicologia presso l’Università di Harvard, sostiene l’esistenza di competenze specifiche ed autonome, sintetizzabili nella famosa “Teoria delle Intelligenze Multiple”. Egli distingue ben nove tipi fondamentali di intelligenza, localizzati in parti differenti del cervello:

1. L’Intelligenza Linguistica;
2. L’Intelligenza Logico-matematica;
3. L’Intelligenza Spaziale;
4. L’Intelligenza Corporeo-cinestetica;
5. L’Intelligenza Musicale;
6. L’Intelligenza Interpersonale;
7. L’Intelligenza Intrapersonale;
8. L’Intelligenza Naturalistica;
9. L’Intelligenza Esistenziale.

Gardner affermava come spesso la scuola tenda a privilegiare “l’intelligenza convergente”, cioè quella forma di pensiero che non si lascia influenzare dagli spunti dell’immaginazione ma tende all’univocità delle risposta a cui tutte le problematiche vengono ricondotte, ai danni dell’”intelligenza divergente” tipica dei creativi, capaci di soluzioni molteplici e originali, che invece di accontentarsi della soluzioni dei problemi tendono a riorganizzare gli elementi, fino a ribaltare i termini del problema per dar vita a nuove ideazioni.
Recentemente Gardner è tornato sull’argomento suggerendoci cinque minds, modi di pensare, approcci mentali, che considera decisivi per eccellere nel futuro, convinto che per avere successo occorra essere rigorosi e creativi allo stesso tempo:

1. La Mente Disciplinata (la più classica, che accoglie gli input che riceve e riesce a individuare un campo particolare in cui applicarli e quindi brillare);
2. La Mente Sintetica (essenziale nell’epoca di internet e dei canali all-news, è quella che meglio delle altre riesce a raccogliere le informazioni che riceve da fonti diverse e le sintetizza in maniera originale e sensata);
3. La Mente Creativa (coltiva nuove idee e si pone domande insolite, arrivando a risposte inattese: questo tipo di capacità si ottiene solo dopo aver consolidato i modi di pensare tipici delle mente disciplinata e di quella sintetica);
4. La Mente Rispettosa (è un modo di pensare che accetta le differenze tra gli individui, si sforza di capire gli altri e di collaborare, necessaria in tempi di globalizzazione);
5. La Mente Etica (cerca di capire le caratteristiche e gli obiettivi del lavoro che si trova a svolgere, valuta i bisogni e i desideri intorno ad essa, cercando di spingersi oltre gli interessi personali).

La questione perenne è se l’intelligenza sia una dote innata, trasmissibile per via genica o una qualità acquisibile tramite l’esperienza.
Secondo i Fattorialisti le principali dimensioni psicologiche (l’intelligenza, la creatività, la personalità ecc.) sono unità articolate, scomponibili in parti - chiamate fattori - le quali corrispondono a distinti tratti individuabili attraverso appropriate metodologie sperimentali e di analisi statistica.
Le Teorie Fattorialiste distinguono tra intelligenza fluida e intelligenza cristallizzata quali fattori dell’intelligenza generale (Raymond Cattell).
L’intelligenza fluida è la capacità di pensare logicamente e risolvere i problemi in situazioni nuove, indipendentemente dalla cultura e dall’esperienza. È la capacità di analizzare problemi nuovi, identificare gli schemi e le relazioni sottostanti per estrapolarne una soluzione usando il procedimento del problem-solving, adottando il pensiero fluido che comprende sia il ragionamento induttivo che quello deduttivo.
L’intelligenza cristallizzata è la capacità di utilizzare competenze, conoscenze ed esperienze. Si riferisce all’insieme delle conoscenze diffuse all’interno di un ambiente che l’individuo è riuscito ad acquisire, all’esperienza compiuta nel corso della vita, alla capacità di comprendere i messaggi che vengono comunicati, alla capacità di giudizio e di ragionamento in situazioni quotidiane. È sostanzialmente il prodotto di esperienze educative e culturali, in costante interazione con l’intelligenza fluida.
In base ai dati delle ricerche l’intelligenza cristallizzata non declina fino ad età molto avanzate; anzi, essa migliora per l’effetto cumulativo dell’esperienza acquisita dall’individuo, a differenza dell’intelligenza fluida con le relative abilità di problem-solving, di apprendimento e di riconoscimento di pattern, che iniziano a declinare già in età adulta.

Da alcuni anni viene data molta enfasi alla cosiddetta Intelligenza Emotiva, resa popolare dallo psicologo Daniel Goleman. Tale forma di intelligenza è quella che più di ogni altra è utile per conseguire successo nella vita sociale e pare che poco abbia a che fare con il quoziente intellettivo personale.
In sostanza, essa si manifesta con la capacità di definire il proprio ed altrui stato emotivo e di gestirne le interazioni con l’aiuto della ragione. È come se si utilizzassero due cervelli: il primo, costituito dalla corteccia controlla le cognizioni, il linguaggio, il ragionamento; il secondo, costituito dal sistema limbico e dai sistemi collegati simpatico e parasimpatico, sovrintende alle emozioni e alla fisiologia generale.
Dall’azione sinergica ed equilibrata dei due cervelli, alimentati l’uno dall’istruzione e l’altro dall’esperienza di relazione, scaturisce l’intelligenza emotiva, la cui qualità è direttamente proporzionale alla consistenza e all’accuratezza degli interventi educativi ricevuti nell’età più idonea.

Atteggiamento Strategico e Metacognizione

Con queste premesse diventa quindi indispensabile insegnare un corretto modo di pensare, come apprendere con profitto, come ragionare.
Come nota giustamente Seymour Papert, «molti bambini non imparano ad apprendere perché gli viene imposto un modello educativo in cui una cosa si può fare solo giusta oppure sbagliata. Ma quando si programma un computer non si riesce quasi mai a fare un programma corretto la prima volta. Imparare a programmare bene, significa diventare estremamente abili nell’isolare e correggere i bug, le parti che impediscono al programma di girare. La domanda da farsi non è se il programma sia giusto o sbagliato ma se sia definitivo».
I bambini che imparano a programmare sviluppano la capacità di mutare atteggiamento di fronte agli errori ed acquistano nuove attitudini nella riflessione e nell’apprendimento. Quando i bambini non sono obbligati a far bene al primo colpo e possono applicarsi ad un problema analizzando i dati e modificando le idee a piacimento finché non giungono a soluzione, inizia a svilupparsi in loro una grande confidenza di fronte a problemi analoghi o d’altro genere, nei giochi e nella vita.
Il ragionamento che sta dietro agli “sport della mente” è fondato su questo modello e si esalta quanto più si gioca con piacere senza temere la sconfitta, promuovendo un atteggiamento strategico e metacognitivo in grado di organizzare, dirigere e controllare i processi mentali adeguandoli alle esigenze del compito da svolgere, rendendo possibile costruire il sapere partendo da strategie cognitive ed esperienziali elaborate personalmente a partire dalle informazioni conosciute e teso a cogliere il cambiamento come un’opportunità piuttosto che come una minaccia, predisponendo un piano di scelte e di lavoro che può essere suscettibile di modificazione nel corso della sua applicazione.
Gli specifici aspetti di un atteggiamento strategico sono:

1. Il fatto di comportarsi in un modo specifico nei compiti intenzionali;
2. L’abilità di usare strategie, seguendo istruzioni allo scopo;
3. La comprensione del rapporto fra l’uso delle strategie e il successo in compiti di memoria;
4. La conoscenza delle strategie;
5. La propensione a usare spontaneamente le strategie;
6. La propensione ad ispezionare le caratteristiche dei compiti proposti al fine di individuare le strategie appropriate per affrontarli.

L’atteggiamento metacognitivo riguarda a sua volta la generale propensione del soggetto a riflettere sulla natura della propria attività cognitiva e a riconoscere la possibilità di utilizzarla ed estenderla: essa può aiutare il bambino anche quando egli non possiede conoscenze metacognitive specifiche utili per il caso proposto. Ad esempio, di fronte a un compito nuovo o proposto in maniera nuova, il bambino ne riconosce le caratteristiche di richiesta e di memoria e lo collega a situazioni e soluzioni note, adattando i tipi di risposta già posseduti nel proprio repertorio al caso specifico. Un elemento particolarmente significativo dell’atteggiamento strategico è costituito dal riconoscimento del contributo che il proprio impegno dà al successo di un’azione cognitiva.
Ecco di seguito alcuni elementi di caratterizzazione metacognitiva di un intervento (Cesare Cornoldi):

• Informare il soggetto.
• Discutere col soggetto il suo sistema di credenze e vissuti relativi all’area problema.
• Analizzare gli errori.
• Portare l’attenzione sulle strategie.
• Riferire obiettivi comportamenti e risultati ai processi mentali implicati.
• Orientare il soggetto sulla padronanza piuttosto che sulla prestazione.
• Rendere la comunicazione interattiva.
• Stimolare a mettersi nella “testa degli altri”.
• Analizzare col soggetto il suo sistema di credenze e vissuti relativo all’intervento.
• Insistere sulla funzione di controllo che la mente può esercitare sulla sua stessa attività.
• Promuovere l’autoregolazione.

Le Competenze e il Pensiero Produttivo

Per essere efficaci queste abilità dovrebbero diventare metodologia operativa integrante del programma scolastico. Ma quando le abilità diventano competenze? È opportuno rifarsi ad una definizione generale di competenza.
Secondo il D.L. 59/04, un ragazzo è riconosciuto “competente” quando, facendo ricorso a tutte le capacità di cui dispone, utilizza le conoscenze e le abilità apprese per:

• Esprimere un perssonale modo di essere e proporlo agli altri;
• Interagire con l’ambiente naturale e sociale che lo circonda, e influenzarlo positivamente;
• Risolvere i problemi che di volta in volta incontra;
• Riflettere su se stesso e gestire il proprio processo di crescita, anche chiedendo aiuto, quando occorre;
• Comprendere, per il loro valore, la complessità dei sistemi simbolici e culturali;
• Maturare il senso del bello;
• Conferire senso alla vita.

Per Guy Le Boterf la competenza risiede nella mobilitazione delle risorse dell’individuo e si configura come un saper agire in risposta ad una determinata situazione-problema, che si verifica in un dato contesto, allo scopo di mettere in atto una strategia di soluzione efficace ed efficiente. Quattro aspetti caratterizzano il “saper agire in situazione”:

1. La quantità e qualità di risorse possedute e mobilitabili, in termini di conoscenze (conoscere schemi), e di capacità (collocazione spaziale, problem solving, ragionamento per cause ed effetti, analisi di intrecci e relazioni, osservazione, riflessione, pianificazione, gestione di tempi e spazi, di scelte).
2. I modelli, espliciti o impliciti, che guidano l’interpretazione della situazione (strutture di interpretazione).
3. Le strategie operative, in termini di sequenze di azioni, che il soggetto mette in atto per raggiungere gli scopi che si prefigge (strutture di azione).
4. La capacità del soggetto di capire, in itinere, se le strategie adottate sono effettivamente le migliori possibili e di cambiarle opportunamente in caso contrario (strutture di autoregolazione).

Seguendo questa direzione il dottor Hans-Ludwig Freese, professore di Scienze Educative all’Università di Berlino, ha elencato 15 regole inerenti alla promozione ed allo sviluppo del “Pensiero Produttivo”.
I suoi studi si basano principalmente sulla ricerca empirica relativa alla scuola ed all’insegnamento, su consulenze pedagogiche e psicologiche, sull’insegnamento ai bambini dotati di talento straordinario e sulla possibilità di filosofare con essi.
Il “pensiero produttivo” è quella forma di ragionamento che entra in azione ogni qual volta ci troviamo di fronte a una situazione problematica, possibile di soluzione, ma tale da non presentare possibilità di soluzioni immediate e da non permettere nemmeno l’impiego di schemi di comportamento abituali. Tale situazione, se risolta, porta in genere a una nuova conoscenza.
Le seguenti regole si adattano perfettamente agli “Sport della Mente”, configurandosi come piattaforma base per una didattica del gioco:

1. Prenditi tutto il tempo necessario per elaborare il problema. Decidi con precisione qual è il problema che vuoi risolvere.
2. Chiarisci in primo luogo tutti gli aspetti del problema.
3. Elabora il problema in modo sistematico e metodico.
4. Produci molte idee per risolvere un problema e non smettere dopo le prime.
5. Cerca di esprimere idee insolite non comuni.
6. Per riuscire a creare delle idee, metti in evidenza tutti gli oggetti e le persone importanti riguardo al problema e rifletti accuratamente su ogni singolo dettaglio.
7. Pensa all’esistenza di più possibilità generali riguardo alla soluzione e produci molte singole idee per ciascuna di queste possibilità.
8. Mentre cerchi delle idee, lascia chi il tuo animo esplori liberamente le cose intorno a te. Quasi tutto può fornire le idee per una soluzione.
9. Esamina ogni volta ciascuna idea, per stabilire quanto sia valida l’idea stessa!
10. Se per caso rimani incagliato, continua col pensiero! Non lasciarti scoraggiare e non arrenderti subito.
11. Se ti sfuggono le idee cerca di esaminare il problema sotto un’altre e nuova luce!
12. Infine voltati indietro ed esamina di nuovo tutti gli aspetti del problema per assicurarti di non aver tralasciato qualche elemento importante.
13. Incomincia con un’idea improbabile. Fai conto che essa sia realizzabile e poi cerca di scoprire in che modo essa potrebbe diventare tale.
14. Stai in guardia e fai attenzione agli elementi che nel problema potrebbero non essere stati compresi. Il fatto di metterli in luce ti può condurre a scoprire nuove idee per una soluzione.
15. Se all’interno di un problema si trovano diversi elementi non compresi cerca di spiegarli con un’unica idea che li colleghi tutti insieme.

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