Principi Ispiratori

«Quando noi uomini non risultammo così sensati come il secolo placido del “Culto della Ragione” ci aveva creduti, si dette alla nostra specie, accanto al nome di homo sapiens, ancora quello di homo faber – uomo produttore. Termine che era meno esatto del primo perché anche più di un animale è faber. Ciò che vale per fare, vale anche per giocare: parecchi animali giocano. Tuttavia mi pare che l’homo ludens, l’uomo che gioca, indichi una funzione almeno così essenziale come quella del fare, e che meriti un posto accanto all’homo faber». Così esordiva Johan Huizinga nell’omonimo saggio “Homo Ludens” da cui il titolo del Progetto prende spunto.
In Huizinga il gioco assume pari dignità col lavoro, diventando estensione dell’homo sapiens in tensione costante con la sua capacità simbolica ove lingua, mito, arte e religione sono i fili che compongono il tessuto simbolico nel quale ogni progresso umano nel pensiero e nell’esperienza rafforza questo tessuto.
Huizinga è convinto che «la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco […] e non si tratta di domandare qual posto occupi il gioco tra i rimanenti fenomeni culturali, ma in quale misura la cultura stessa abbia carattere di gioco […] d’integrare, per così dire, il concetto di gioco in quello di cultura».

Il gioco è un elemento fondamentale della cultura, ma non il gioco codificato in forme e strutture oggi riconoscibili ed interpretabili, ma lo “spirito giocoso”, la particolare disposizione ed atteggiamento che si ritrovano in tutti i giochi, e non solo in essi, anche al giorno d’oggi.
Dice Huizinga, infatti, che la cultura prima di tutto, nella sua esteriorità e manifestazione, è gioco, forma giocosa; questo è quanto di spontaneo l’uomo esprime se confrontato ai bisogni e necessità della vita, solo dopo, a posteriori il pensiero chiama quei giochi e quelle forme giocose cultura, perché magari si sono tramandate e sono divenute parte delle nostre abitudini.
Sia nel lavoro che nel gioco vi è dispersione di energie, che vanno poi recuperate attraverso il riposo. Dunque il riposo non è alternativo ma complementare e funzionale sia al lavoro che al gioco.
Il gioco è sempre “espressivo”; il lavoro lo è solo quando, in esso, la pena della fatica viene superata dalla gioia della curiosità, dell’esaltazione, del tentativo, della ricerca, dell’invenzione, della destrezza: insomma, della creatività. Più il lavoro diventa creativo, più si avvicina al gioco fin quasi a sovrapporsi e coincidere con esso. Un imprenditore tutto preso dalla passione dell’impresa in cui rischia e cresce; un professore rapito dalla gioia dell’insegnamento e dalla maturazione dei propri allievi; uno scienziato che vede la sua ricerca ormai prossima alla scoperta; una casalinga che vede prosperare la propria famiglia grazie alla sua dedizione; un artigiano che vede fiorire dalle sue mani un oggetto bello e irripetibile, difficilmente sanno dire se la loro attività è un lavoro o è un gioco. In casi come questi, il piacere creativo prevale nettamente sul dovere ripetitivo; l’homo faber trasfigura nell’homo ludens.
Come dimenticare la celebre “Formula del Successo”. Un giornalista una volta chiese ad Albert Einstein di spiegare la formula del suo successo. Dopo una breve riflessione rispose: «Se A è il successo, direi che la formula è: A=X+Y+Z, laddove X rappresenta il lavoro e Y il gioco». «E Z cosa rappresenta?» chiese il giornalista. «Tenere la bocca chiusa», replicò lui.

Uno spettro, tuttavia, si aggira all’alba del Terzo Millennio: l’homo sapiens, capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti è, come dice Raffaele Simone, sul punto di essere soppiantato dall’homo videns che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di immagini, con conseguente “impoverimento del capire” dovuto, secondo Giovanni Sartori, all’incremento del consumo di televisione.
Un mutamento antropologico sta quindi riducendo l’homo sapiens in homo videns. La contemporanea sovrabbondanza di immagini sta conducendo ad una perdita progressiva della capacità di astrazione, e della facoltà logico-concettuale che è la cifra dell’homo sapiens. L’uomo di oggi è sommerso da immagini che lo allontanano progressivamente dalla sua unicità, e contemporaneamente lo obbligano in uno stato di dipendenza.
Alla fine del XX secolo siamo gradualmente passati da uno stato in cui la conoscenza evoluta si acquisiva soprattutto attraverso il libro e la scrittura, procedendo un passo alla volta, linearmente, attraverso l’intelligenza sequenziale, a uno stato in cui si acquista la conoscenza evoluta anche (e soprattutto) attraverso l’ascolto o la visione non alfabetica, cioè attraverso l’intelligenza simultanea, caratterizzata dalla capacità di trattare nello stesso tempo più informazioni, senza però che sia possibile stabilire tra di esse un ordine, una successione e quindi una gerarchia. Siamo quindi passati da una modalità di conoscenza in cui prevaleva la linearità a una in cui prevale la simultaneità degli stimoli
Per Umberto Galimberti la scuola di oggi va male perché da trent’anni a questa parte ha a che fare sempre meno con l’homo sapiens e sempre più con l’homo videns, la cui mente finisce con l’essere diversamente conformata. La scuola va perdendo terreno ogni giorno di più perché, invece di interagire con l’espansione esponenziale delle informazioni, superficiali finché si vuole, ma comunque elementi di conoscenza messi a disposizione dai media, sembra un rifugio in cui ci si rinchiude per essere protetti dal fluire della conoscenza e dal suo accrescersi.
La scuola infatti è cognitivamente lenta finché si limita a trasmettere un pacchetto delimitato e statico di conoscenze selezionate, e metodologicamente lenta nella sua difficoltà ad accedere a quei luoghi di conoscenza che non sono solo le enciclopedie e i vocabolari, ma le banche dati e i repertori. Per cui oggi la scuola non è più il luogo della movimentazione della conoscenza, ma quello in cui alcune conoscenze, dopo essere state trasmesse e classificate, si sedentarizzano, stagionano, e si staticizzano. Bisogna prender conoscenza di almeno due cose: innanzitutto che l’intelligenza sequenziale, che finora ha caratterizzato l’Occidente nella costruzione delle sue conoscenze, cede ogni giorno di più il passo all’intelligenza simultanea, e in secondo luogo che la scuola ha ormai a che fare con un universo giovanile che fatica enormemente di più che in passato a seguire il carattere sequenziale dell’intelligenza a cui la scuola affida quasi esclusivamente la trasmissione del suo sapere.

Tra le possibili soluzioni al problema troviamo la pratica sportiva. È ormai indubbio che lo sport svolge un ruolo fondamentale di educazione, di inserimento sociale, di promozione dell’identità e di intermediazione fra gli uomini, trasmettendo valori etici quali la solidarietà, la partecipazione, l’aggregazione, la comprensione e la tolleranza.
L’ambiente e l’attività sportiva costituiscono un’opportunità ideale per lo studio della personalità, delle dinamiche di gruppo, della motivazione e dell’equilibrio psico-fisico: un humus ideale per lo sviluppo dell’apprendimento.
Vivere tuttavia lo sport alla maniera classica, come prestazione fisica soltanto, è ormai inadeguato. Secondo le più recenti ricerche nel campo della psicologia dello sport, relativamente allo sviluppo dell’individuo in età evolutiva, allenare il corpo è indispensabile, avere una tecnica di gioco e una precisa strategia è importante, ma fondamentale è sperimentare un buon allenamento mentale, oltre che coltivare le qualità coordinative generali e specifiche.
Un significativo contributo in tal senso può essere offerto dagli “Sport della Mente”. Strettamente collegati alle varie discipline scolastiche sostengono un’attività che facilmente si inserisce nell’iter scolastico, offrendo agli studenti occasioni di crescita umana e civile e di uso intelligente del tempo libero. Chi pratica queste discipline, in generale, acquisisce maggiore capacità di concentrazione e potenzia, senza sforzo, le caratteristiche elaborative del cervello con notevoli effetti benefici anche in altri campi, come l’organizzazione del proprio lavoro o l’apprendimento delle materie scolastiche.
In un mondo sempre più globalizzato e tecnologico ma diviso dalla prospettiva dello scontro di civiltà, gli sport della mente mettono insieme Oriente ed Occidente, ponendosi come un nuovo “centro d’interesse” per i più giovani, quella thumb generation, la generazione del pollice, che corre alla velocità della luce ma che grazie ad antichi giochi, scanditi da ritmi lenti, può ancora riprendersi il proprio tempo, riscoprire la memoria storica, ritrovando quindi se stessa.
Esplorare nuove dimensioni formative riportando il gioco al centro dell’azione educativa, attraverso lo “spirito ludico” proprio dell’Homo Ludens. Un’esperienza, prima ancora che un progetto, che vuole essere anzitutto un percorso di crescita, cognitiva e relazionale.

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